Marketing a briglia sciolta? Il Garante tira le redini: stop ai consensi “omnibus” e via al rispetto dei dati

A volte il marketing sembra una corsa sfrenata, come quando un bambino trova le chiavi della macchina e decide di fare un giretto “tanto per provare”. È divertente all’inizio, finché non si schianta contro il muro della realtà… o del Garante per la protezione dei dati personali.

E infatti, a maggio 2025, il Garante ha detto basta. Ha messo in chiaro che certi modi di raccogliere il consenso delle persone – quelli “furbetti”, veloci, poco chiari – non si possono più accettare. Ha preso di mira un’abitudine molto diffusa nel marketing digitale: il cosiddetto “consenso omnibus”. Nome altisonante, ma significato semplice: un unico sì che dovrebbe autorizzare tutto. Peccato che quel “tutto” sia una valanga di cose che le persone spesso non capiscono neanche.

Facciamo un esempio. Immagina di firmare un modulo che dice: “Autorizzo a ricevere offerte via email, telefonate promozionali, SMS pubblicitari, a essere profilato per ricevere contenuti su misura e a cedere i miei dati a una dozzina di aziende che vendono energia, assicurazioni, abbonamenti TV e magari anche stivali da cowboy”. Il tutto con un solo clic, magari nascosto tra mille parole. Questo è un consenso omnibus: un “sì” troppo largo, troppo generico e decisamente poco trasparente.

Il Garante ha detto che non va bene. E qui, diciamolo chiaramente: non ha scoperto l’acqua calda. Qualsiasi DPO (cioè chi si occupa professionalmente di protezione dei dati) o consulente privacy competente sapeva benissimo che questa pratica era fuori dalle regole. Perché il Regolamento Europeo – il famoso GDPR – lo dice da anni: il consenso deve essere specifico, granulare e informato. Tre paroline magiche che, se ignorate, possono costare caro.

Ed è proprio quel che è successo a una società del settore energetico: una bella sanzione da 300.000 euro. Perché? Perché usava consensi omnibus, non era iscritta al Registro pubblico delle opposizioni (che serve a dire “non voglio essere chiamato per pubblicità”), non controllava cosa facevano i suoi partner e usava numeri di telefono non autorizzati. Un mix esplosivo.

A questo punto, la domanda sorge spontanea: ma se le regole erano chiare da tempo, perché tanti continuavano a ignorarle? Qui si apre un tema interessante: il marketing spesso corre da solo. È veloce, creativo, audace. Ma a volte è anche un po’ spavaldo, nel senso che parte in quarta senza chiedere il permesso a chi si occupa della privacy. Come se fosse una scocciatura. Come se i dati fossero un giocattolo e non una responsabilità.

E invece, come succede quando si va a cavallo, bisogna tenere le redini. Il marketing, se vuole essere davvero efficace – e soprattutto legale – deve coordinarsi con chi conosce le regole. Non per frenare, ma per evitare di finire in un fosso. Perché un’azione promozionale che viola i diritti delle persone, oltre a fare danni economici e di immagine, rischia anche di rompere il rapporto di fiducia con i clienti. E senza fiducia, si vende poco, molto poco.

Il Garante ha ricordato a tutti che il consenso non è un optional. Deve essere una scelta vera. L’utente deve poter decidere quali comunicazioni ricevere, da chi, attraverso quali canali e per quale motivo. Non basta un “accetta tutto” messo lì in fondo alla pagina, vicino al tasto “continua”. Serve chiarezza. Serve trasparenza. E serve rispetto.

Per questo le aziende dovrebbero rivedere i propri moduli di consenso. Non per paura della multa, ma per costruire qualcosa di più solido. Serve permettere alle persone di scegliere se ricevere offerte via email ma non via telefono, se farsi profilare oppure no, se dare i dati solo a una categoria merceologica e non a tutte. E soprattutto, serve spiegare bene cosa si sta chiedendo.

È un po’ come quando ti presentano un buffet: se puoi scegliere cosa mangiare e in che quantità, ti godi l’esperienza. Ma se ti obbligano a prendere tutto il vassoio, compresa quella roba strana che non hai mai visto, la sensazione cambia. Ecco, il consenso dovrebbe funzionare come un buffet, non come una forzatura.

Ma non finisce qui. Il Garante ha anche messo l’accento su un altro aspetto spesso trascurato: il controllo sulla filiera. Quando un’azienda affida le chiamate promozionali a un call center esterno o condivide i dati con altri partner, non può semplicemente lavarsene le mani. Deve sapere cosa succede. Deve vigilare. Deve garantire che chi tratta i dati lo faccia nel rispetto delle regole. In altre parole: non basta dire “non lo sapevo”, perché la responsabilità resta.

E allora, serve un cambio di mentalità. Non si può più pensare che la privacy sia un ostacolo al business. È piuttosto una condizione per fare business in modo sostenibile. Come mettere le cinture di sicurezza in macchina: all’inizio sembrano fastidiose, ma poi ti salvano la vita.

Le aziende più lungimiranti l’hanno già capito. E stanno lavorando con i loro DPO, i legali, i consulenti privacy per costruire campagne di marketing più consapevoli. Che vuol dire, per esempio, usare moduli di consenso ben fatti, informative semplici da leggere, controlli periodici su chi gestisce i dati. Piccole scelte che fanno la differenza.

Certo, tutto questo richiede impegno. Richiede tempo. Richiede formazione. Ma il guadagno è doppio: da una parte si evitano multe e grane legali; dall’altra si conquista la fiducia dei clienti. E nel mercato di oggi, dove la concorrenza è spietata e la reputazione è tutto, la fiducia è un bene prezioso.

Pensaci: se una persona si fida della tua azienda, sarà più propensa a lasciarti i suoi dati, a leggere le tue email, a rispondere alle tue offerte. Perché sentirà che la sua libertà di scelta è rispettata. E magari diventerà anche un cliente fedele.

Insomma, il messaggio del Garante è chiaro: basta scorciatoie. Basta consensi omnibus. È tempo di trattare i dati delle persone con la cura che meritano. Di fare marketing con la testa, non solo con l’istinto. Di ascoltare chi conosce le regole e sa come applicarle, anche quando sembrano complesse.

Perché la vera forza non sta nel fare tutto e subito, ma nel fare bene. E nel costruire relazioni che durano. Come quando si coltiva un’amicizia: non basta un messaggio ogni tanto. Serve attenzione, rispetto, e quel pizzico di intelligenza che fa la differenza tra un messaggio ben accolto e uno cestinato senza pietà.

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