Eppure per la privacy si erano rivolti ad un’associazione di categoria

Ci sono casi in cui arrabbiarsi non serve a nulla, ma forse sarebbe corretto farlo delle volte.

Come per il caso di un’azienda che ho seguito recentemente, azienda che si era rivolta ad un’associazione di categoria per ricevere aiuto su come gestire la privacy.

In quella associazione un’impiegato allo sportello, gli aveva fatto una stima usando un piccolo questionario prefatto, un modello standard uguale per tutti.

“Nulla di male”, se non per il fatto che ogni azienda è diversa dalle altre, perfino tra aziende “gemelle”, e con quel questionario “standard” non erano emersi i veri punti problematici.

Con quel questionario standard, passato in rassegna senza una piena conoscenza, ha dato come risultato qualcosa di “standard” ma che non andava affatto bene.

In certi casi, sicuramente rari, quel questionario non va bene nemmeno per un semplice negozio di frutta e verdura: con quell’approccio poco professionale quell’associazione di categoria sta letteralmente mettendo a rischio i suoi iscritti.

E la cosa mi ha fatto sentire un attimo impotente.

Ma vediamo perché è rischioso quello che hanno fatto.

Quando spiego la privacy ai miei clienti, il tono tipico è quello dell’ennesima incombenza, della millesima legge arrivata per impedire di lavorare.

La cosa non mi scoraggia, perché capisco il punto di vista, vissuto in prima persona.

E proprio per questo il mio approccio è orientato a dare una mano all’imprenditore per ottenere i benefici da questa “incombenza”, per sfruttare un’arma a proprio vantaggio.

Per fare questo è necessario scavare un pochino, perché cosi scopri come il cliente si muove e quali sono le sue caratteristiche, anche uniche, che possono essere sfruttate.

Ad esempio, pochi sanno come sfruttare la normativa sulla privacy per migliorare la promozione dell’attività senza incorrere in errori.

Perché conoscendo come funzionano i canali di marketing è possibile adeguare tutto quanto rimanendo nella legalità.

Alcuni grandi brand questo lo sanno e lo sfruttano per fare fatturati importanti.

Quindi perché non permettere anche alle aziende più piccole (e magari più dinamiche) di trarne beneficio?

Tornando al problema originario, parlando con l’azienda, con le persone, ho scoperto alcune modalità con la quale trattavano certe informazioni che, se gestite come quell’associazione di categoria gli aveva detto, li avrebbe resi vulnerabili.

Con quel questionario standard, non erano nemmeno lontanamente emersi alcuni problemi come il trattamento di dati per conto di clienti che, se non gestiti come poi abbiamo fatto, avrebbero esposto l’azienda a rischio di risarcimento danni.

La normativa privacy, all’articolo 82, ben specifica che nel caso succedano delle violazioni del Regolamento l’azienda è automaticamente colpevole, tradotto “non ci sono scusanti”.

In pratica l’azienda mio Cliente, rischiava di gestire dei dati personali (anche sensibili) senza averne titolo, con tutte le conseguenze del caso: nel caso migliore rischiava delle sanzioni, in quello peggiore di pagare danni alle persone.

E tutto perché quell’associazione di categoria gli ha fatto un banale questionario standard.

Piccola nota: io non ho assolutamente nulla contro le associazioni di categoria, visto che con alcune ho delle collaborazioni. Ma le associazioni con cui collaboro non farebbero mai una cosa del genere.

Non si baserebbero mai su di un questionario standard valutato da un’impiegato che svolge 100 mansioni diverse e quindi esperto in nulla, che conosce la privacy tanto quanto una bustina di Tè sa leggere: cioè zero.

L’aiuto di un professionista è fondamentale.

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